Categorie
Territorio

In Lombardia, il tramonto della pianificazione territoriale

Riprendo in queste righe le considerazioni che avevo sviluppato ad inizio luglio – disponibili qui – sulle modifiche alla legge sul consumo di suolo della Regione Lombardia, per aggiungere qualche ulteriore e più meditata riflessione sulle probabili future conseguenze.

Il testo della LR 31/2014 approvato quasi tre anni fa, e la successiva circolare interpretativa degli uffici regionali, avevano sollevato più di una perplessità sull’effettiva volontà della Regione di contenere il consumo di suolo. Durante il lento e conflittuale percorso che ha portato all’adozione della variante del PTR (Piano Territoriale Regionale) queste perplessità sono state confermate, e sono anche apparse evidenti le rilevanti complicazioni che l’attuazione della legge comporta per la pianificazione dei comuni, delle provincie, della città metropolitana, e della regione stessa.

La variante alla LR 31/2014 approvata lo scorso fine maggio poteva essere l’occasione per correggere i difetti iniziali della legge. Invece le modifiche introdotte hanno peggiorato, e non di poco, la situazione. Hanno finito di svuotare di senso la stessa legge sul governo del territorio, la LR 12/2005, già indebolita e resa incerta negli anni da innumerevoli e poco organiche varianti e interpretazioni. I comuni si troveranno da soli a gestire una situazione molto confusa, senza peraltro potere più contare sulle strutture delle province, molto indebolite sia dalla Legge Delrio che dalla stessa LR 31/2014 la quale ha di fatto relegato i PTCP (piani territoriali di coordinamento provinciale), e più in generale la pianificazione di area vasta tutta, ad un ruolo marginale.

La situazione non è particolarmente positiva neppure nelle proposte normative delle altre regioni e nel disegno di legge nazionale, dove emerge un atteggiamento arrendevole nei confronti della rendita fondiaria, il male oscuro che da molti decenni frena ogni tentativo di intendere il territorio come bene comune e di salvaguardare l’inestimabile patrimonio paesaggistico di questo Paese. Sono troppi gli interessi alimentati dalla rendita fondiaria, che con il tempo ha messo a punto un sistema diffuso in tutti i luoghi e a tutti i livelli, nel pubblico e nel privato, una vera e propria metastasi, ormai ramificata e impossibile da estirpare. Tutto quello che “Le mani sulla città”, il bel film degli anni Sessanta di Francesco Rosi, aveva denunciato, non appartiene al passato, ma si è anzi evoluto ed è più attivo e inattaccabile di prima. Dei proventi della rendita fondiaria si avvantaggiano grandi proprietà, società, banche, ma anche corporazioni imprenditoriali e professionali, così come molti piccoli risparmiatori, per non parlare del sistema politico locale e nazionale, e anche di tante associazioni non a scopo di lucro. Gli stessi comuni, ai quali la legge affida in primis la tutela e il governo del territorio bene comune, sono costretti a poco onorevoli compromessi pur di contare sugli oneri delle nuove urbanizzazioni al fine di mandare avanti la gestione ordinaria degli uffici comunali, non riuscendo così più a sfuggire al circolo vizioso che obbliga a consumare a nuovo suolo.

A fine anni Novanta i piani territoriali sviluppati dalle province, pur tra mille difficoltà, introducono strumenti e regole per limitare il consumo di suolo, che costituiscono un prezioso punto di appoggio per la pianificazione comunale. Il sistema della rendita fondiaria, o meglio i soggetti che se ne avvantaggiano, sia pubblici che privati, reagiscono cercando le strade per aggirare la pianificazione provinciale o indebolirla. In Lombardia vengono per esempio ad arte diffuse interpretazioni della LR 12/2005 che solo di recente sono state smentite dal Consiglio di Stato (sentenza 2921 del giugno 2016) che ha restituito piena efficacia alle disposizioni dei PTCP, sia quelle prescrittive che quelle di indirizzo.

La prima versione in bozza del PTR sembrava volere realmente affrontare il tema della riduzione dell’enorme quantitativo di aree programmate ma non ancora attuate esistente nei piani comunali. Ma era solo un modo, fumo negli occhi, per nascondere una realtà ben diversa.

Durante il percorso di adozione i contenuti del PTR sono divenuti più evanescenti. Gli obiettivi di riduzione del consumo di suolo, inizialmente espressi in modo quantitativo, vengono declassati a meri orientamenti tendenziali, peraltro facilmente aggirabili con artefatti calcoli di fabbisogni o utilizzando altre eccezioni previste dalla legge.

La LR 31/2014 modificata a maggio da un lato sembra prevedere un potenziamento del parere di compatibilità della provincia, ma dall’altro fornisce ai comuni la possibilità di adeguarsi ai generici criteri del PTR senza attendere che tali criteri vengano dettagliati e resi più stringenti nei PTCP, come era invece in precedenza previsto nella versione prima della norma. Viene così meno la necessità di adeguare rapidamente i PTCP, che viceversa saranno ora rallentati nella preferenza individualistica dei comuni ad operare senza condizionamenti. Non dimentichiamo che gli amministratori comunali sono dopo la Legge Delrio all’interno degli organi della provincia.

L’aspetto che più preoccupa è l’attivazione del BES, acronimo per bilancio ecologico del suolo. Un meccanismo che consente di spostare un’area programmata, ma poco appetibile nella sua attuale localizzazione, in altra parte del territorio agricolo del comune, a patto di non incrementarne la dimensione in termini di superficie. In realtà tale spostamento sarebbe sulla carta anche soggetto a criteri definiti nel PTR per evitare che nello scambio si finisca per consumare una superficie agricola fertile restituendo all’agricoltura una di basso valore agronomico. Ma i criteri del PTR sono evanescenti e quindi la legge finisce per ridurre questo scambio ad una mera operazione algebrica a somma zero.

In realtà criteri più stringenti, sul suolo agricolo, sugli aspetti paesaggistici, naturalistici e insediativi, esistono da tempo nei PTCP vigenti, e potrebbero essere utilizzati già oggi senza attendere l’adeguamento dei piani provinciali al PTR. Ma la variante alla LR 31/2014 ha pensato anche a questo, prevedendo percorsi per aggirare la verifica di compatibilità rispetto ai contenuti dei PTCP.

I tentativi di annullare la verifica di competenza della provincia collidono con la normativa nazionale, in particolare l’art 20 del d.lgs 267/2000. Ma si dovrà aspettare un intervento della Giustizia Amministrativa che, qualora arrivi, arriverà comunque dopo diversi anni, quando molti danni saranno ormai stati compiuti.

Sono casi già visti nel passato. Quello sopra citato dove la LR 12/2005 ha per anni subìto un’interpretazione riduttiva delle competenze dei PTCP, limitate ai soli aspetti prescrittivi, che solo con la sentenza del TAR del 2015, nella sostanza confermata dal Consiglio di Stato, sono tornate ad includere le disposizioni di indirizzo accanto a quelle prescrittive (ma ci sono voluti 10 anni!).

Altro caso, solo nel 2011 una sentenza del TAR Lombardia ha chiarito che anche i contenuti dei PTCP sono soggetti a regime di salvaguardia nel periodo tra adozione e approvazione, cosa che non era stata prevista dalla LR 12/2005, ma che era in palese contrasto con quanto previsto dalla norma nazionale, l’art 12 comma 3 del d.lgs 380/2001.

Bisognerebbe imparare dalle esperienze precedenti, ed evitare situazioni che creano grandi incertezze ai comuni, e danni al territorio. Si è ancora in tempo, attraverso una circolare interpretativa, o in sede di approvazione finale del PTR. Vista la situazione sarebbe in questo momento l’unico modo di arginare gli effetti disastrosi della legge Lombarda sul consumo di suolo, resi ancora più nefasti con la variante di maggio scorso.

 

Una risposta su “In Lombardia, il tramonto della pianificazione territoriale”

Bravo Marco Pompilio, sempre preciso nel fornire attuali informazioni sul governo del territorio e nello svolgere preziose riflessioni sulla pianificaizone di area vasta, di cui è esperto conoscitore. Disarmanti ed amare le sue considerazioni sul consumo di suolo nella nuova legislazione lombarda, oltre ad essere profondamente reali sul ruolo svolto nel corso degli anni dalla Provincia con il Piano Territoriale di Coordinamento oramai relegato a strumento marginale di un Ente che sta vivendo una lenta agonia.

I commenti sono chiusi