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Dolores Hayden: una città non sessista

In un saggiodel 1980 l’urbanista Dolores Hayden indagava la questione del sessismo insito negli aspetti spaziali dell’organizzazione urbana negli Stati Uniti , concludendo che per contrastare il modello di divisione del lavoro basato sull’appartenenza biologica a uno dei due sessi si doveva in primo luogo mettere in discussione le basi dello sviluppo urbano contemporaneo.  Secondo Hayden, il problema al quale dare soluzione non poteva che essere identificato nel grande progetto suburbano che aveva portato più della metà della popolazione di quel paese a vivere in luoghi privi della diversità funzionale tipica delle città [1] . Tutto ciò era già stato denunciato nel 1963 da Betty Friedan in “The Feminine Mystique” come una vicenda di puro esercizio di potere di un genere sull’altro. Il problema al quale le madri di famiglia americane non riuscivano a dare un nome era la casa unifamiliare con garage abbastanza ampio da contenere due auto, e tutte le differenti funzioni dell’ambiente urbano a portata di tragitto con questo mezzo di trasporto. Nessun impiego extra domestico, perché le espansioni suburbane sono la perfetta incarnazione della città dormitorio dove il maschio bianco lavoratore ritorna la sera dopo una giornata di lavoro in città.

Rispetto a questo scenario, la proposta del movimento “New Urbanism” per le nuove espansioni insediative è il modello compatto, polifunzionale e “orientato” al trasporto pubblico della città tradizionale. L’idea che gli abitanti di queste comunità, differenti per qualità edilizia e spaziale rispetto al classico suburbio dominato dalla case unifamiliari, possano interagire meglio tra di loro ha probabilmente qualcosa in comune con le soluzioni progettuali individuate da Dolores Hayden. Tuttavia uno studio pubblicato dal “Journal of Planning Education and Research” [2] (che dopo più di trent’anni ha in un certo senso provato a rispondere alla domanda di Hayden)  indagando le differenze nell’esperienza delle donne che abitano in quartieri “New Urbanism” da una parte o nei classici sobborghi a bassa densità edilizia e a scarsissima integrazione spaziale dall’altra, ha scoperto che, a parte il vantaggio di riuscire ad organizzare meglio la distribuzione del lavoro domestico grazie alla migliore accessibilità di attività commerciali e di servizio, il design “New Urbanism” non modifica di una virgola le divisione di genere del lavoro domestico. Verrebbe quindi da concludere che una società sessista produce una corrispondente organizzazione dello spazio urbano, cosa che non manca di fare Hayden in chiusura del saggio di cui qui proponiamo alcuni estratti (M.B.). (…)

Per continuare a leggere questo articolo siete pregati di richiederne copia a millenniourbano@gmail.com.

Note

[1] D. Hayden, What Would a Non-Sexist City Be Like? Speculations on Housing, Urban Design, and Human Work, in Sign, Vol. 5, No. 3, Supplemento Women and the American City, 1980. Gli estratti  qui proposti sono stati tradotti da Michela Barzi.

[2],C. Fagan, D.Trudeau, Empowerment by Design? Women’s Use of New Urbanist Neighborhoods in Suburbia, Journal of Planning Education and Research, 16 guigno 2014.

L’immagine di copertina è tratta da Marketplace.

Di Michela Barzi

Laureata in Architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Si è occupata di pianificazione territoriale ed urbanistica per vari enti locali. Ha pubblicato numerosi contributi sui temi della città, del territorio e dell'ambiente costruito in generale e collaborato con istituti di ricerca e università. Ha curato un'antologia di scritti di Jane Jacobs di prossima pubblicazione presso Elèuthera. E' direttrice e autrice di Millennio Urbano e scrive per altre riviste.

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