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Il rurale contemporaneo

Chi si occupa di territorio e di pianificazione, sa bene che quella della ruralità è una tematica di difficile approccio, da oltre vent’anni oggetto di ampi dibattiti e di ricerca. La misurazione e la classificazione del rurale hanno visto prevalere la componente paesistica, rispetto a quella agricola, riconoscendo il ruolo fondamentale svolto dalle popolazioni e dalle altre attività che hanno caratterizzato lo spazio rurale negli ultimi cinquant’anni. Dalla ruralità agraria, passando per quella industriale, fino all’attuale ruralità post-industriale, il ruolo dello spazio rurale è gradualmente cambiato.

A fronte della riduzione delle attività agricole, dello spopolamento, delle problematiche di manutenzione del territorio e di gestione dei rischi, alle aree rurali è stato richiesto di svolgere un ruolo molteplice di conservazione e riqualificazione dell’ambiente, di produzione di servizi ambientali e di difesa dei beni collettivi, di sicurezza alimentare e di qualità della vita.

Una ulteriore definizione, infatti, identifica il rurale come un ambiente naturale caratterizzato dalla preponderanza della “superficie a verde” su quella edificata.  Questa definizione di rurale non si limita a considerare fattori socio-demografici e le relative dinamiche insediative, ma include, nella delimitazione dello spazio rurale, aspetti riguardanti il territorio, la rete ecologica e il paesaggio: “Ciò che attualmente consente di distinguere lo spazio rurale da quello urbano sono soprattutto le sue specificità ecologiche, rimanendo il rurale, nonostante tutto, un particolare ambiente naturale, diverso da quello urbano e come tale percepito dalla gente” (Merlo e Zuccherini, 1992)

Le regioni rurali e le politiche dei distretti

fonte i.giarletta
Foto: I. Giarletta

In questa concezione, che ha dato centralità alla componente naturalistica, più come insieme di elementi che costituiscono l’ecosistema che come supporto dell’attività agricola, si è stabilita una connessione tra ambiente naturale e caratteristiche socio-economiche e culturali locali. Ciò sia nell’ambito della pianificazione che in quello della programmazione. Questa definizione ha comportato che il territorio svolgesse nelle aree rurali una funzione non solo produttiva, ma anche paesaggistica e culturale e potesse divenire, in tale senso, una fonte di vantaggio comparato, oltre che competitivo, attraverso la valorizzazione del turismo e delle attività ricreative e del tempo libero organizzato.

Negli ultimi anni, infatti, grazie anche all’impulso dato dall’Unione Europea, è venuto a formarsi in sede istituzionale, un diffuso consenso riguardo all’importanza del mondo rurale e alla necessità di favorire l’innestarsi di processi di sviluppo rurale a livello locale. Da qui l’identificazione e la classificazione del rurale divenuta, per questo, una questione politicamente rilevante: il quadro delle unità territoriali di riferimento delle politiche nazionali e comunitarie in Italia, si è soffermato sulle aree di applicazione delle principali politiche di sviluppo integrato: Patti Territoriali, GAL, programmi LEADER, Progetti Integrati di settore e/o di filiera, ecc., evidenziando tutti i vantaggi e i limiti legati ai processi di delimitazione delle aree destinatarie di specifici interventi di politica regionale.

In base a questa logica, agli strumenti di partenariato e di programmazione locale già operanti, si è affiancato successivamente quello dei “distretti rurali” definiti nel D.L. n. 228 del 2001, come “sistemi produttivi locali caratterizzati da un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività agricole ed altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali“. Una definizione tanto ampia da inglobare, facilitare e stabilizzare processi di governance locale, ampiamente partecipata, e di “alta autonomia nella definizione degli strumenti” laddove ha saputo affermarsi e consolidarsi. Nella realtà operativa le aree rurali hanno incontrato notevoli difficoltà a identificarsi con l’idea di distretto, specie nel gestire processi di governance al di fuori dei confini disegnati dalle politiche comunitarie, nazionali e regionali. Il modello è risultato comunque vincente perché ha agevolato il graduale rilancio del manifatturiero, laddove l’attività industriale sembrava non sconvolgere la cultura preesistente, ma al contrario, in grado di integrarsi con l’agricoltura, il turismo e la nuova terziarizzazione, insomma con il territorio tutto, compreso il suo sistema sociale.

Il nuovo che avanza tra rurale e industriale

fonte CilentoLab 1
Foto: CilentoLab

I territori competono grazie alle organizzazioni complesse che li esprimono e i nuovi scenari del rurale, che rilanciano il ruolo dell’agricoltura, si inseriscono nella complessità del circuito evolutivo (o involutivo) della contemporaneità. Gli approcci delle misure incentivanti riguardanti l’attuale programmazione, puntano a un rafforzamento delle aggregazioni territoriali mature e a un forte rilancio del settore produttivo agricolo e agroalimentare. Accoglienza e tempo libero tornano a essere una complementarietà. Sullo sfondo si intravede ancora la qualità ambientale e paesaggistica come base socio-culturale che si considera consolidata, in base ad una visione teorica e ottimistica, che vede anche il quadro normativo stabilizzato, attraverso gli strumenti regolamentativi che, ai vari livelli, operano nella pianificazione territoriale e settoriale.

E’ evidente che la necessità di accelerare i processi di sviluppo (rurale) tenderà nel prossimo futuro a riguardare i territori che hanno saputo aggregarsi e organizzarsi intorno a realtà produttive rilevanti. Le caratteristiche del tessuto produttivo a livello locale assumono, dunque, una maggiore importanza nel sostegno ai processi di sviluppo (rurale), puntando in realtà al ruolo del settore manifatturiero, ed in particolare al suo livello di specializzazione nella filiera agroalimentare.

Ma se ciò può trovare una valida motivazione nell’obiettivo di incentivare i processi di sviluppo rurale, laddove esiste un tessuto sociale organizzato e un sistema produttivo efficiente, ci si chiede cosa succederà in quei contesti italiani in ritardo cronico, dove la base sociale rimane debole e i sistemi produttivi locali dipendono anche da fattori non prettamente economici (vedi le aree tutelate e i sistemi delle aree interne).

Oltre alla loro valenza multiforme, questi territori si contraddistinguono per una elevata qualità del sistema ambientale e del capitale ecologico, nonché per il radicamento di una cultura popolare e la presenza di relazioni strette, tra imprese, famiglie e istituzioni, che vanno a costituire il cosiddetto capitale sociale locale. Che connotati assumerà il rurale in queste aree fragili, sotto tutti gli aspetti, che tuttavia mantengono ancora un elevato grado di resilienza? Sarà capace di favorire processi economicamente virtuosi e ambientalmente sostenibili, malgrado già si manifestino tendenze contrarie?  Da noi nel Salernitano, ad esempio, nella Piana del Sele, ma anche in diverse zone del Parco del Cilento e Vallo di Diano (Riserva di Biosfera MAB), assistiamo al moltiplicarsi degli impianti serricoli e delle monocolture, oltre all’intensificarsi dello sfruttamento della risorsa idrica tra captazioni, sbarramenti e deviazioni dei corsi d’acqua, con il tacito consenso di politica e istituzioni.

fonte CilentoLab 2
Foto: CilentoLab

La situazione sull’intero territorio nazionale comunque evidenzia l’esistenza di forti differenze in termini di tessuto produttivo tra le aree rurali italiane. Spesso, tali differenze si traducono anche in diverse e specifiche potenzialità di sviluppo che implicano la necessità di individuare percorsi alternativi di crescita a livello territoriale.

Questo quadro lascia aperta sia la possibilità di combinare i fattori di forza dell’industria tradizionale con la nuova economia del terziario, sia l’opzione di integrare a valle l’economia della conoscenza per la nascita di nuove attività a più alto contenuto innovativo e compatibile con i sistemi ecologici e la biodiversità. E’ la condizione necessaria per continuare a definire rurali alcuni territori e le loro prerogative. Il rischio infatti è quello di ritornare al modello dell’agricoltura intensiva e ad alta specializzazione produttiva a servizio del manifatturiero, mascherato dal tentativo di dare scala di efficacia alle azioni di valorizzazione delle diverse risorse: culturali ed ambientali, agricole ed industriali, tangibili ed intangibili, riproducibili e non.

Forse è necessario rinnovare le occasioni di ricerca, per riposizionare le aspettative economiche e produttive del rurale, a partire proprio dalle aree più fragili che potrebbero costituire un autentico laboratorio a scala nazionale e europea. Si tratta di prospettare innovazioni istituzionali, nel mercato del lavoro e nel sistema di formazione, dando valore economico alto alle competenze e alle abilità, vecchie e nuove.

Alle aree rurali, in definitiva, dovrebbe essere assegnato un obiettivo strategico a grande valenza culturale, tramite il quale le attività rurali possano diventare occasione di autentica innovazione per il loro consapevole contributo a un paesaggio evoluto, dove l’agricoltura e il rurale possano dare un apporto visivo e funzionale alla biodiversità e alla rete ecologica. Rimane questo il fondamentale obiettivo che deve essere coltivato nei territori rurali.

Riferimenti bibliografici

V. Merlo, R. Zuccherini, Comuni urbani, comuni rurali. Per una nuova classificazione, Milano, INSOR Franco Angeli,1992.

Di Ospite

Millennio Urbano pubblica anche articoli di Autori esterni alla redazione e alla rete aperta dei collaboratori, sia scritti ad hoc per il sito sia ripresi da altre fonti

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