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Polveri sottili e campagna elettorale nelle grandi città

L’inverno si è concluso, e con esso la stagionale questione dell’emergenza inquinamento nelle città viene accantonata, in attesa del ritorno il prossimo autunno. Sarebbe invece saggio utilizzare il periodo estivo per ragionare a mente fredda ed arrivare preparati alla prossima emergenza. Quest’anno a giugno si terranno le elezioni amministrative in molte città. In qualche caso si tratta di città metropolitane come Milano, la più gravemente afflitta dal problema. Inseriamo questo tema nell’elenco delle domande ai candidati perché se ne parli, e poi da luglio si impostino iniziative concrete con gli eletti.

Il tema è complesso e richiede competenze multidisciplinari. Pur nella limitatezza delle mie conoscenze provo ad avanzare qualche considerazione di buon senso, giusto per avviare il discorso, che altri più esperti potranno correggere e affinare.

Tra le più importanti fonti di emissioni in atmosfera c’è il traffico veicolare, sul quale si può intervenire con diverse modalità, di differente efficacia. Ci sono anche il riscaldamento, le industrie, recentemente è emersa persino l’attività agricola come fonte non trascurabile. Ci sono poi fattori esterni difficili da prevedere che influenzano gli sforzi per contenere le emissioni, come la mancata dismissione degli inceneritori più vecchi, che rischia di vanificare in parte il buon lavoro fatto da alcune regioni sulla raccolta differenziata (1).

Con la pianificazione del territorio si potrebbe fare molto, per esempio collocando i servizi pubblici a maggiore afflusso di utenti nelle stazioni di interscambio modale del trasporto su ferro, oppure prevedendo le espansioni insediative in coerenza con l’evoluzione degli assi di forza del trasporto pubblico, oppure ancora valutando la localizzazione di centri commerciali e altri insediamenti a forte attrattività rispetto a carico e congestione di traffico aggiunti. Molti piani provinciali e regionali affrontano il tema, talvolta solo nelle dichiarazioni di principio, altre in modo più incisivo, sempre dovendo comunque fare i conti con i potenti interessi mossi dalle abnormi rendite fondiarie ottenibili con la trasformazione del suolo agricolo.

I piani della mobilità dei grandi comuni sono impegnati a favorire il trasferimento degli spostamenti dal mezzo privato al trasporto pubblico, ma il contributo al contenimento delle emissioni di queste politiche è molto marginale, come argomenta un recente ed interessante articolo relativo al caso del PUMS di Milano (2).

Le emissioni dovute al traffico sono complessivamente andate diminuendo negli anni, ma il merito è quasi esclusivamente da attribuire al miglioramento tecnologico dei motori. Vista l’esperienza passata puntiamo allora senza indugi verso politiche che favoriscano l’aggiornamento del parco veicoli. Cosa che oggi viene fatta in parte e in modo poco efficace. Certo si tratta di politiche impopolari, verso quei cittadini che non hanno il reddito per permettersi un ricambio frequente del proprio veicolo, e che dell’auto non possono fare a meno, magari per esigenze di spostamento per lavoro che non trovano risposta adeguata nel trasporto pubblico. Tuttavia questo inverno diverse regioni e città hanno rotto gli indugi, di fronte ai prolungati sforamenti dei limiti e al clamore suscitato dagli studi che correlano i decessi all’inquinamento, decidendo restrizioni anche per i motori Euro 3 diesel, che sono ancora numerosi in circolazione.

Provvedimenti come le targhe alterne o i blocchi totali della circolazione solo la domenica non cambiano in modo significativo l’esposizione agli inquinanti. Blocchi totali nei giorni feriali danneggiano chi si muove per lavoro, incidendo sulla produzione di reddito, e quindi sull’aggiornamento stesso del parco veicolare.

I blocchi ai motori Euro più vecchi pesano soprattutto sui meno abbienti, mentre non si fa nulla per orientare verso la scelta di modelli meno inquinanti coloro che l’auto la possono aggiornare più di frequente. Una parte del beneficio derivante dal progresso tecnologico viene persa per la tendenza ad acquistare nuovi modelli più potenti e più pesanti. E’ il  caso per esempio dei SUV, il cui numero di esemplari circolanti è aumentato in modo esponenziale.

Per massimizzare gli effetti positivi del cambio auto bisogna che la tutela dell’aria salga ai primi posti della scala di valori usata nella scelta dell’auto. Non basta acquistare un modello dell’ultima generazione Euro, si devono utilizzare altri parametri, per esempio le emissioni di CO2 che sono obbligatoriamente dichiarate dai produttori per ciascun modello. Si potrebbero adottare restrizioni progressivamente più severe verso i modelli con emissioni più elevate. Ad esempio, nei primi giorni di superamento dei valori di inquinamento si potrebbero fermare durante la giornata le auto con emissioni di CO2 superiori a 250 gr/km e,  se le condizioni critiche permangono, scendere nei giorni successivi progressivamente a 200, 150 e 100 gr/km.

E’ vero che i superamenti riguardano generalmente le polveri sottili e ultrasottili, ma per questi inquinanti non vi è ad oggi l’obbligo da parte dei costruttori di dichiarare le emissioni. Peraltro i fattori di emissione pubblicati da INEMAR (3) per diverse tipologie e potenze di motori evidenziano che negli Euro 6 le emissioni di polveri non sono più un fattore di differenziazione così significativo tra i motori, assumendo maggiore rilievo quelle relative alle parti soggette ad abrasione (freni, gomme, ecc.) che sono presenti in tutti i veicoli, anche in quelli a trazione elettrica.

Nelle politiche di fermo della circolazione si potrebbe passare dal blocco totale episodico, applicato solo dopo due settimane di superamento, che è poco efficace, a misure di progressiva restrizione, da adottare a partire già dal secondo o terzo giorno di superamento, e nei giorni seguenti gradualmente inasprire fino a che la situazione non migliori. Restrizioni progressive in luogo dei blocchi innescherebbero comportamenti adattivi dei cittadini verso abitudini più sostenibili, e consentirebbero un più morbido adeguamento delle attività lavorative.

Si possono immaginare diversi tipi di misure, da adottare in diverse combinazioni tra loro, a seconda delle caratteristiche di ciascuna area urbana. Ne cito alcune, a titolo meramente esemplificativo, tenendo conto che l’efficacia dei singoli provvedimenti è ovviamente da sottoporre a sperimentazione, così come gli effetti combinati:

  • limitazione della velocità a 30 km/h sulle strade urbane (e 50 su tangenziali e circonvallazioni)
  • circolazione solo per autovetture con almeno 3 persone a bordo;
  • ampliamenti temporanei di zone pedonali e ZTL;
  • mezzi di trasporto urbano gratuiti, ma anche trasporto su ferro sulle linee pendolari (anche se qui è necessaria la collaborazione delle regioni);
  • restrizioni alla circolazione negli orari di punta, più o meno estese nella durata, per i mezzi con emissioni più elevate (non solo in base alla classe Euro, come sopra argomentato).

Ultimo ma non meno importante: accanto allo studio dei pacchetti più idonei per ogni città, nei prossimi mesi estivi i comuni principali delle grandi aree urbane farebbero bene ad attivare tavoli di lavoro con i comuni limitrofi per un coordinamento delle azioni da intraprendere senza il quale ogni sforzo per abbattere le emissioni risulta vano.

Aggiornamento del 12 aprile 2016 h. 9,17.

Riferimenti

1.  Giorgio Boatti, I rifiuti, la cenere e i cieli di Lombardia, La Provincia Pavese, 15 febbraio 2016.

2. Marco Ponti e Francesco Ramella, Più trasporto pubblico significa meno smog? Alcuni dubbi rilevanti, Arcipelago Milano, 2 marzo 2016.

3. INEMAR (Inventario delle emissioni in atmosfera): banca dati Europea sulle emissioni in atmosfera suddivise nelle diverse fonti; per quelle da traffico specificamente riscontrate in Lombardia vedere la pagina web.