Home

Jane Jacobs e l’urbanistica del Bel Paese

In questo articolo Marco Pompilio si domanda se sia rimasto qualcosa, e quanto, nell’urbanistica italiana degli insegnamenti di Jane Jacobs. La voce di questa autrice è stata particolarmente efficace, tanto da riuscire a farsi sentire e acquisire autorevolezza anche tra i non addetti ai lavori, quindi al di fuori del mondo urbanistico. Ma nulla di tutto questo è arrivato nel nostro Paese. Negli anni Settanta e Ottanta vengono sviluppati i piani di tutela dei centri storici, che prendono le distanze dal modernismo e da come questo vedeva la città storica. Forse una qualche influenza degli scritti di Jacobs su questi piani c’è stata, ma in ogni caso non determinante rispetto a un’azione che è maturata nel dibattito culturale e disciplinare interno al nostro Paese e al contesto Europeo.

Continua a leggere

Pianificare la città metropolitana secondo equità

Nelle aree metropolitane l’intreccio di relazioni tra le diverse parti del territorio è molto complesso, coinvolge capoluogo, poli urbani, comuni medi e piccoli, infrastrutture, mondo agricolo e aree naturali. Quanto accade in ciascuna di queste parti, anche la più piccola, può facilmente avere ripercussioni sul complesso del sistema territoriale.

Continua a leggere

Che fastidio le donne che scrivono di città

#JaneJacobs

Città e libertà, la raccolta di scritti di Jane Jacobs pubblicata quest’anno da  Elèuthera  (tradotta e curata da chi scrive), ha ricevuto ormai qualche recensione. Tra queste non potevano mancarne almeno un paio che fanno trapelare (in particolare in un caso) o manifestano apertamente ( in un altro) quell’insieme di prove inclini a confermare convinzioni, aspettative o ipotesi esistenti a proposito delle donne. Si tratta in sostanza del fenomeno noto come confirmation bias,  il meccanismo che valida un pregiudizio pur evitando di usarlo per arrivare a determinate conclusioni.

Continua a leggere

Qui l’indice e l’introduzione di Città e libertà dal sito di Elèuthera.

L’aria delle città e il razzismo

#razzismo

Nel 2004, in un discorso per la Lewis Mumford Lecture, Jane Jacobs individuò nella «mentalità della piantagione» il male che la società americana non si è ancora lasciato alle spalle. La Plantation Age è stata lunga e duratura, affermava, e ha prodotto la schiavitù fisica e mentale che dal mondo rurale si è trasferita nella grande industria taylorista, in cui i lavoratori potevano essere usati come ingranaggi di una macchina o come peons on a plantation.

Continua a leggere

La comunità e la prevenzione del contagio

#contagio

Nel suo ultimo libro, Dark Age Ahead, Jane Jacobs ricordava l’importanza di usare l’approccio epidemiologico corretto quando si tratta di capire le ragioni della diffusione di un determinato agente patogeno. Nell’estate del 1995 Chicago fu colpita da una tremenda ondata di caldo a cui si associarono alti livelli di umidità e di ozono troposferico. Nella settimana tra il 14 e il 20 luglio il numero di morti in più rispetto allo stesso lasso di tempo, in analoghe condizioni climatiche, giustificò l’uso di furgoni refrigeranti per lo stoccaggio dei corpi in attesa di autopsia. La maggioranza di coloro che erano deceduti per colpo di calore, disidratazione, insufficienza renale o squilibri elettrolitici erano anziani e poveri. Il grande consumo di energia elettrica e di acqua aveva spesso reso impossibile l’utilizzo dell’aria condizionata e degli altri apparecchi elettrici, così come aveva privato di acqua corrente numerosi edifici. Molti anziani erano stati trovati morti nei loro soffocanti appartamenti.

Continua a leggere

Edoardo Salzano, Venezia e la sua laguna

#areavasta

Ho avuto la fortuna di studiare urbanistica con Edoardo Salzano, docente dello IUAV di Venezia tra i più amati dagli studenti. Se n’è andato ieri e voglio ricordarlo qui, con un estratto di un suo contributo sulle ragioni dell’insetricabile connubio tra un ecosistema e la storia millenaria di una città che su di esso ha costruito la sua grandezza. Il mancato governo unitario di questo rapporto vitale è la ragione del reciproco declino, del quale la storia del MoSE e della riduzione dell’intero sistema a parco tematico per turisti sono solo gli ultimi capitoli (Michela Barzi).

Continua a leggere

Città-rifugio

#JacquesDerrida

Nel suo celebre libro sulle città medievali, Henri Pirenne enucleava il concetto di spazio urbano come rifugio degli europei oppressi dalla servitù e dalle limitazioni dell’economia di sussistenza. «L’aria delle città rende liberi» dice un proverbio tedesco (Die Stadtluft macht frei) e questa verità si osserva sotto tutti i climi. Anticamente la libertà era monopolio della nobiltà, l’uomo del popolo ne godeva solo a titolo eccezionale. Con le città essa riprese il suo posto nella società come un attributo naturale del cittadino: ormai basta risiedere sul suolo urbano per riacquistarla. Ogni servo che per un anno e un giorno ha vissuto nella cinta urbana la possiede in modo definitivo.

Continua a leggere

Dolores Hayden: una città non sessista

#questionidigenere

In un saggio del 1980 l’urbanista Dolores Hayden indagava la questione del sessismo insito negli aspetti spaziali dell’organizzazione urbana, concludendo che la soluzione di contrasto al modello di divisione del lavoro, basato sull’appartenenza biologica a uno dei due sessi, doveva in primo luogo mettere in discussione le basi dello sviluppo urbano contemporaneo. Vista dagli Stati Uniti il problema al quale dare soluzione non poteva che essere identificato nel grande progetto suburbano che aveva portato più della metà della popolazione di quel paese a vivere in luoghi privi della diversità funzionale tipica delle città. Tutto ciò era già stato denunciato nel 1963 da Betty Friedan in “The Feminine Mystique” come una vicenda di puro esercizio di potere di un genere sull’altro. Il problema al quale le madri di famiglia americane non riuscivano a dare un nome era la casa unifamiliare con garage abbastanza ampio da contenere due auto, e tutte le differenti funzioni dell’ambiente urbano a portata di tragitto con questo mezzo di trasporto. Nessun impiego extra domestico, perché le espansioni suburbane sono la perfetta incarnazione della città dormitorio dove il maschio bianco lavoratore ritorna la sera dopo una giornata di lavoro in città (M.B.).

Continua a leggere

Michel de Certeau, camminare per la città

#pedoni

A distanza di oltre trent’anni dalla prima edizione di Vita e morte delle grandi città, Jane Jacobs ricordava che i primi ad aver capito il senso del suo libro erano stati i pedoni, perché leggendolo avevano potuto constatare quanto in comune ci fosse tra la sua esposizione e «il loro appagamento, le loro preoccupazioni ed esperienze». La prospettiva del pedone ha quindi costituito il centro del cambiamento di paradigma che il libro aveva introdotto nell’urbanistica degli ultimi decenni del Novecento. D’altra parte le regole spaziali di chi si sposta a piedi nella città non necessariamente coincidono con quelle stabilite dalle norme urbanistiche. Di ciò era convinto anche Michel de Certeau che individuava nell’atto di camminare la creazione di una città «metaforica», cioè in spostamento all’interno della città pianificata (M.B.).

Continua a leggere

Richard Sennett: come la smart city può renderci stupidi

#smartcity #urbanistica

Nel suo Building and Dwelling[1], Richard Sennett esplora diffusamente le differenze tra il sistema aperto rappresentato dalla città per come l’umanità l’ha concepita – con la sua componente spaziale (nella sua denominazione la ville) e sociale (la cité) – e quello chiuso delle utopie tecnocratiche che mettono in dubbio il concetto stesso di democrazia storicamente associato alla polis. In questi estratti di una sua comunicazione[2] tenuta nel 2012 presso la conferenza Urban Age della London School of Economics,  Sennet puntualizza come la smart city rientri in questa ultima categoria. E dato che depotenzia la capacità umana di interagire con la complessità urbana, può benissimo essere utilizzata per depotenziare le capacità politiche dei suoi abitanti (M.B.).

Continua a leggere

Giancarlo De Carlo: contro la città-macchina

#urbanistica #architettura

Nel 1972 cominciava la demolizione del complesso di edilizia residenziale pubblica Pruitt-Igoe di St. Louis, nel Missouri composto da trentatré identici edifici da undici piani che avrebbero dovuto ospitare circa diecimila persone. Chiaramente influenzato dalla visione di città contemporanea rappresentata dalla Ville Radieuse di Le Corbusier – con edifici che sorgevano davanti al sole, circondati dell’aria e nel mezzo di aree verdi, il complesso –  abitato a partire dal 1954 in prevalenza da afroamericani, fu definito nel 1970 dal sociologo Lee Rainwater uno slum costruito con fondi federali. Le immagini delle cariche di dinamite che lo hanno ridotto in macerie, sono diventate parte del film Koyaanisqatsi e secondo il critico dell’architettura Charles Jencks hanno segnato la morte dell’architettura moderna.

Continua a leggere

Sigfried Giedion: dal boulevard all’autostrada

#urbanistica #autostrade

Se è vero che l’urbanistica è una disciplina moderna, lo è altrettanto il fatto che le trasformazioni urbane dell’ultimo secolo e mezzo sono, secondo Marshall Berman (1940-2013), una manifestazione del modernismo. Nel suo Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria[1], il filosofo statunitense traccia in maniera esemplare la traiettoria dell’esperienza della modernità attraverso la critica letteraria e la lettura dei fenomeni urbani. Ciò che Berman mette in rilievo – affidandosi in questo alle descrizioni di Walter Benjamin, da una parte, e di Jane Jacobs dall’altra con in mezzo alcuni decenni e due sponde dell’oceano – è che il fulcro della modernità è stato, nella parabola ascendente del modernismo, la strada come strumento di trasformazione delle città. Ma poi, nella sua discesa verso il furore della tabula rasa, il modernismo ha individuato proprio nella strada tutti i mali della città, invocandone la cancellazione.

Continua a leggere

Il puritanesimo intollerante della Ville Radieuse

#architettura #urbanistica

La vicenda è nota: nel 1922 un pittore purista, che fino a quel momento aveva tentato con scarsa fortuna di fare l’architetto,  presenta al salon d’Automne di Parigi lo schema progettuale per una città contemporanea  di tre milioni di abitanti pensato per essere applicato a qualsiasi contesto territoriale. L’idea piace al costruttore di aerei e automobili Gabriel Voisin, che finanzia l’applicazione del progetto al centro di Parigi. Se fosse stato realizzato il Plan Voisin, avrebbe completamente demolito tutto ciò che di storico esisteva sulla riva destra della Senna, come il quartiere del Marais, risparmiando solo i monumenti storici più significativi come il Palais Royal.

Continua a leggere

Jacques Derrida: periferia canaglia

#banlieue #periferie

Secondo il dizionario Littré, il termine «banlieue» indica un territorio nelle vicinanze e sotto la giurisdizione di una città. Esso nasce dall’unione di «ban», bando – da cui discende anche bandito – e «lieue», luogo. Nell’ottobre del 2005 la rivolta delle periferie ha spinto il governo francese in carica a decretare lo stato d’emergenza e il presidente della repubblica a utilizzare  termini come «voyou» e «racaille» per definire gli attori della guerriglia urbana. Sempre secondo il Littré, «voyou» indica, nel linguaggio parlato in particolare a Parigi, un popolano sgradevole e maleducato mentre «racaille» è un sinonimo di «canaille», canaglia.  Due anni prima i fatti del 2005, Jacques Derrida (1930-2004) s’interrogava sulla ragione del più forte che conferiva a quest’ultimo il diritto di parlare di Stati canaglia («rogue States»,  in francese traducibile con l’espressione «Etats voyou») malgrado il duro colpo che questo tipo di retorica aveva subito da parte degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001.

Continua a leggere

Colin Ward: contro la città a grana grossa

#urban renewal #urbanistica

Colin Ward (1924-2010), uno dei massimi pensatori anarchici della seconda metà del XX secolo che molto ha scritto anche di questioni urbane, nel 1989 analizzava, a partire dal disastroso caso di Birmingham, il processo di sostituzione della tradizionale grana fine del tessuto urbano con quella grossa della città pensata per il traffico automobilistico e la redditività finanziaria.

Continua a leggere

Città e televisione

#Milano2  #suburbio

Tra il 1971 e il 1979, su più di settanta ettari di terreno agricolo nel comune di Segrate alle porte di Milano, Silvio Berlusconi realizzò il quartiere residenziale dal quale partì la sua avventura televisiva. Milano 2, per uno dei suoi progettisti, rappresentava «qualcosa di completamente diverso da ciò che succedeva allora a Milano città, dove c’era lo smog. Era proprio una forma di vita». (…) Era il “sogno americano” incarnato, secondo John Foot, nella “milanesità” di Berlusconi, venduto a colpi di paginate pubblicitarie sul Corriere della Sera, con slogan come una “casa di campagna in città” o “ una casa a Milano senza lo smog e gli ingorghi di Milano” che richiamano il contesto suburbano nel quale andava in scena l’”American Dream” nella vita reale e in quella delle produzioni televisive.

Continua a leggere

Lewis Mumford: l’eredità di Frederick Law Olmsted dai parchi alle città

#parchi   #forestazione urbana

L’opera di Frederick Law Olmsted (1822-1903), progettista tra l’altro del Central Park di New York, da una prospettiva contemporanea  è particolarmente significativa soprattutto se letta alla luce della promozione  dell’Urban Forestry,  ovvero di quell’insieme  di parchi, aree boscate residuali,  viali e piazze alberate,  giardini privati, eccetera, che agisce come elemento di mitigazione degli effetti ambientali dell’urbanizzazione, sulla quale è da tempo impegnato il dipartimento forestale della FAO. A questo riguardo la storia dei parchi urbani testimonia una analoga preoccupazione, dato con l’apparizione di queste aree verdi all’interno delle città – almeno in quelle occidentali   – veniva già proclamato l’intento di mitigare gli effetti negativi di un ambiente urbano sempre più ostile alla salute, fisica e morale, degli esseri umani . Negli estratti qui proposti del saggio di Lewis Mumford, Olmsted viene celebrato come una delle figure più luminose delle altrimenti piuttosto buie Brown Decades. Mumford, da sostenitore dell’idea di città giardino, non perde l’occasione per citare Radburn come uno dei migliori lasciti dell’eredità olmstediana. In essa il principio della separazione dei flussi di traffico, veicoli da una parte e pedoni dall’altra, già sperimentato a Central Park, ha tuttavia contribuito a generare altri problemi alla città novecentesca, laddove l’urbanistica ha cercato di individuare nelle soluzioni tecniche il rimedio agli effetti della commistione tipica di un organismo complesso come la città. E’ in particolare su questo punto che si è innestata la polemica tra Lewis Mumford e Jane Jacobs, che ha diffusamente denunciato i risultati di questa semplificazione (M.B.).

Continua a leggere

L’immagine in evidenza è di Michela Barzi